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Febbraio 2010

Adozione del modello di organizzazione, gestione e controllo ex D. Lgs. 231/2001 per evitare le sanzioni per reati commessi dai vertici aziendali.

La Corte di Cassazione si è espressa sul caso di una società per azioni condannata, sulla base del D. Lgs. 231/2001, a pagare una sanzione di euro 50 mila per il reato di corruzione del quale era stato considerato responsabile il rappresentante legale. I giudici di merito avevano inferto la sanzione dopo aver verificato il vantaggio tratto dalla società dalla commissione dell'illecito e la mancata adozione da parte della società stessa di un modello organizzativo idoneo a scongiurare il coinvolgimento dell'impresa in azioni di corruzione poste in essere da suoi rappresentanti.
La società, nel suo ricorso, aveva proposto una interpretazione del decreto 231 meno restrittiva, sostenendo che la normativa non ha introdotto l'obbligo di adozione del modello ma ha semplicemente previsto che la sua adozione possa avere efficacia esimente della responsabilità dell'ente. La mancata adozione del modello, quindi, non andrebbe a fondare in modo automatico la sanzione dell'ente. Per colpire l'ente occorrerebbe, invece, un'indagine accurata per accertarne almeno la colpa.
Tale interpretazione è stata rifiutata dalla Cassazione considerando che, secondo la normativa, l'unico caso in cui non incorre la responsabilità dell'ente è quello in cui il reato è stato commesso dal singolo dipendente nell'esclusivo interesse proprio o di terzi. Esclusa questa possibilità, l'unica alternativa è quella di dimostrare di avere adottato tutte le misure organizzative idonee ad impedire la commissione di reati analoghi a quello che si è verificato, ivi inclusa l'adozione ed attuazione del modello organizzativo e gestionale.

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